Processo Stato-mafia: per il superteste Masi è imputazione coatta
Con un colpo di scena il gip di Palermo Vittorio Alcamo imputa il maresciallo di scorta del pm Di Matteo e teste d’accusa per diffamazione e calunnia
Altro colpo di scena, nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. I supertestimoni dell’inchiesta, sui cui, si regge l’attendibilità dell’impianto accusatorio dell’inchiesta in corso davanti alla corte d’Assise di Palermo, cadono come birilli e vengono bollati da giudici terzi come “calunniatori” e “diffamatori” per le loro dichiarazioni rese davanti alle aule di giustizia.
Dopo il caso di Massimo Ciancimino, recluso in carcere, ora tocca al numero 54 nella lista della procura di Palermo.
È Saverio Masi, militare dell’Arma, di scorta al pm Nino Di Matteo, con alle spalle una condanna definitiva, sancita dalla Cassazione il 24 aprile del 2015, a sei mesi di reclusione, per tentata truffa e falso. Il carabiniere all’epoca dei fatti risultava indagato dalla procura di Palermo in seguito a una denuncia per calunnia e diffamazione presentata dagli alti ufficiali dell’Arma, che avevano risposto così a un esposto in cui il militare li accusava di averlo ostacolato nella cattura di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro.
Mentre al tempo stesso la procura di Roma, aveva già chiesto il suo rinvio a giudizio per diffamazione, accogliendo la tesi dei militari “lesi nella loro reputazione” dopo che il legale del Masi, anch’esso rinviato a giudizio, aveva convocato un’a conferenza stampa a Roma, per dare enfasi e clamore mediatico alla vicenda.
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Il gip di Palermo Vittorio Alcamo, il 29 marzo scorso, ha finalmente sciolto i nodi su questa delicatissima vicenda, per la particolarità e gravità delle accuse del Masi rivolte ai suoi superiori gerarchici dell’Arma, di non aver voluto catturare i boss di Cosa nostra.
In 22 pagine il giudice, ordina ai Pm l’imputazione coatta per calunnia e diffamazione, nei confronti dell’ex capo scorta del magistrato di punta dell’inchiesta Stato-mafia.
Una condanna pesante per il superteste, vista la meticolosa e puntigliosa analisi logico temporale del giudice, rispetto alle “controverse”, “frammentate” e “contradditorie” dichiarazioni del militare, eretto a “eroe” dall’Antimafia con il sostegno di una parte della stampa italiana.
In uno summit sulla legalità a cui ha partecipato, prima ancora di essere ascoltato come teste nel processo in corso sulla Trattativa, dichiarava: “C’è qualcosa ancora di più assurdo in questo processo. Chi suggerì di compiere gli attentati del 27 e 28 luglio 1993 ai danni delle chiese di S. Giovanni in Laterano e di S. Giorgio al Velabro? Dobbiamo tenere presente la coincidenza che fossero i nomi di battesimo di Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini”.
IL GIP: MASI, INATTENDIBILE, CALUNNIATORE E DIFFAMATORE
I magistrati della procura di Palermo, tra querele del Masi e controquerele da parte degli ufficiali dell’Arma, avevano disposto l’archiviazione del fascicolo. Tra i togati, che avevano firmato tale archiviazione risultano tre magistrati dell’inchiesta Stato-mafia, che in udienza però, durante l’esame del teste, sostenevano l’autenticità delle dichiarazioni dell’ex capo scorta.
A questa archiviazione, si erano opposti tutti gli indagati. Il giudice, Vittorio Alcamo, nell’ordinanza del 29 marzo, scrive, che i magistrati che hanno chiesto l’archiviazione hanno scelto “una soluzione non condivisibile, in quanto frutto di una lettura degli atti in parte contradditoria e sottovalutativa dell’aspetto psicologico alle ipotesi di calunnia e diffamazione”.
Infatti, “le denunce del Masi (di esser stato ostacolato nella cattura di latitanti ndr) sono state sporte solamente nel mese di maggio del 2013, a distanza di 7/12 anni rispetto ai fatti attribuiti ai superiori”. E le vicende erano ampiamente prescritte, ma gli alti ufficiali dell’Arma hanno rinunciato alla prescrizione.
E anche se il Masi “avesse nutrito, sospetti di inefficienza, di sottovalutazione o peggio ancora di collusione da parte dei suoi superiori- scrive il gip - avrebbe avuto il preciso dovere di informare direttamente la Dda di Palermo”. Invece “incredibilmente rendeva nota questa eccezionale notizia per la prima volta l’8 maggio 2004, depositando 54 giorni dopo, ai suoi superiori una relazione di servizio su tale presunto avvistamento”.
Già, “questo modo di procedere costituisce non solo un grave inadempimento disciplinare e un reato omissivo, ma lo squalifica enormemente sotto il profilo dell’attendibilità”. (qui il documento integrale)
LA BACCHETTATA DEL GIUDICE
Il gip, seguendo un filo logico e analitico temporale delle dichiarazioni del superteste della Trattativa, aggiunge, “o il racconto del Masi è vero e allora ha consapevolmente adottato un comportamento deprecabile e sanzionabile in ogni sede tanto da renderlo soggetto poco o per nulla attendibile o il fatto è frutto di una volontà di rendere eclatanti le proprie accuse, certamente calunniose (…) in un preciso momento storico strettamente collegato alle proprie vicende processuali”, indicendo “una conferenza stampa proprio allo scopo di diffondere il più possibile e in modo eclatante il contenuto delle accuse”.
Il gip scrive ancora “il Masi ha scelto di pubblicizzare la propria denuncia come spirito di rivalsa per un torto subito” con “l’intento di suscitare nell’opinione pubblica un sostegno personale, mitizzazione di sé o strumentalizzazione della verità a scopi utilitaristici sul piano processuale”.
E retoricamente domanda, implicitamente rivolto a tutti compresi i PM:
1- “Può davvero ritenersi inconsapevole un pubblico ufficiale che a distanza di anni denunci, in modo così plateale, i propri superiori di fatti omissivi e commissivi di tale devastante gravità?”
2- “ Se il Masi, negli anni tra il 2001 e il 2013, aveva chiara la gravità per quale ragione ha atteso tutto questo tempo per sporgere querela? E perché ha taciuto su tali fatti nel corso delle sue deposizioni ai PM negli anni 2009 e 2010?”.
LA CROCIATA DEL PM DI MATTEO IN FAVORE DI MASI
È possibile che il pm Nino Di Matteo, magistrato di punta del processo Stato-mafia, che ha sempre difeso il suo uomo di scorta tanto da inserirlo nella lista testi per avvalorare l'impianto accusatorio, dopo aver letto questa ordinanza di imputazione coatta per calunnia e diffamazione, provi un po’ di imbarazzo anche per le parole spese pubblicamente a favore del Masi.
Il 25 marzo del 2013, durante la requisitoria del processo di primo grado, nei confronti degli imputati Mario Mori e Mauro Obinu, accusati di aver favorito la latitanza del boss Provenzano nel 1995 a Mezzojuso (poi assolti nei due gradi di giudizio, inchiesta pendente ora in Cassazione ndr) aveva parlato di “oneste e coraggiose affermazioni del maresciallo Masi”.
Dopo un anno e mezzo alle agenzie di stampa, il 6 settembre del 2014, polemizzando con la procura di Roma, retta da Giuseppe Pignatone, aveva detto: “Continuo a nutrire piena fiducia nel maresciallo Masi. Se mai, personalmente, mi sembra singolare che mentre, come è noto, a Palermo si cerca di verificare la fondatezza delle sue denunce, un'altra autorità giudiziaria incrimini per diffamazione gli autori delle suddette denunce e perfino i difensori e i giornalisti che la hanno rese note".
In ultimo, il 15 settembre scorso, davanti ai giudici della corte d’Assise di Palermo, interrompendo il controesame del Masi da parte del legale di Mori, che chiedeva al teste: “Sa spiegare perché la Dia, che ha effettuato degli accertamenti in ordine alle sue denunce, non ha trovato alcun riscontro alle sue dichiarazioni? E in particolare ai ritardi, alle omissioni, agli abusi che lei attribuisce ai suoi “superiori”, anzi (la Dia ndr) ha affermato che appare evidenza l'insussistenza dei reati contestati e comunque i fatti indicati nella denuncia del Masi non sono stati riscontrati, né appaiono altrimenti riscontrabili?”, il pm Di Matteo, alzandosi in piedi, diceva “Presidente, è una sintesi che esprime una parte di un giudizio, che poi...alcun riscontro... Poi vedremo i fatti!”.
I fatti sono arrivati. E proprio da Palermo. Un boomerang per i magistrati della Trattativa. Ora dopo l'imputazione coatta ordinata dal gip ai Pm, toccherà al gup decidere. Ma il ruolo dei PM cambia. Ora dovranno accusare Masi. E con questa ordinanza, che sembra una sentenza senza “appello”, difficile che non segua un processo con un rinvio a giudizio per il superteste dell'inchiesta Stato-mafia.