Referendum trivelle: perché Renzi rischia grosso
L'appello lanciato con Giorgio Napolitano all'astensione può avere l'effetto contrario: spingere la gente al voto e indebolire il Governo
Sono due i fattori problematici del rapporto che il premier italiano ha nei confronti di uno strumento di democrazia diretta come il referendum: averlo scambiato per un altro strumento di scelta popolare come il plebiscito nel caso di quello costituzionale del prossimo autunno e averlo declassato a inutile perdita di tempo sottratto a una bella gita al mare nel caso di quello sulle trivelle.
Referendum trivelle: le ragioni del SÌ e del NO
Impedire il rinnovo delle concessioni per le trivellazioni in mare entro le 12 miglia dalla costa è, secondo Matteo Renzi, sbagliato. Ma piuttosto che suggerire agli elettori di esprimersi sul merito del quesito referendario, lancia l'invito a disertare direttamente le urne al fine di impedire il raggiungimento del quorum.
Se si fosse limitato a sostenere una posizione contraria allo stop delle concessioni, francamente non ci sarebbe stato nulla da ridire. Il problema insorge quando una carica istituzionale, in una fase storica in cui la malattia più grave che affligge il nostro sistema democratico è la disaffezione al voto della parte maggioritaria del Paese, esorta i cittadini all'astensione.
E lo fa, tra l'altro, alla vigilia di un appuntamento elettorale in cui il rischio di eleggere amministrazioni, non tanto delegittimate quanto non sufficientemente rappresentative, è altissimo.
E lo fa, e questa è forse la ragione che rende il suo atteggiamento oltremodo discutibile, all'unico scopo di tutelare un interesse di parte, quello del suo governo, in un momento di particolare fragilità e instabilità dovuto a una serie sempre più lunga e imbarazzante di “disavventure” anche giudiziarie.
Se funestamente (per lui) il quorum dovesse essere raggiunto la vittoria dei sì risulterebbe scontata nel secondo stesso della chiusura dei seggi. A spaventare il premier è esattamente questa prospettiva.
Un esito del genere, infatti, suonerebbe come un assordate campanello d'allarme. Tuttavia, in questo caso, vale davvero la pena di citare il proverbio: chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Il problema delle trivelle in sé, infatti, c'entra davvero poco. Certo, c'è senz'altro chi ha sinceramente a cuore la vittoria del sì per ragioni che hanno a che fare con la salvaguardia dell'ambiente. Ma si tratta di una minoranza. Tutti gli altri, fino a qualche settimana fa, non solo ignoravano l'appuntamento referendario, ma nemmeno si erano mai posti il problema delle perforazioni nei nostri mari.
Se oggi lo sanno e hanno scelto di andare a votare è, paradossalmente, perché a fargli venire la voglia è stato proprio Matteo Renzi. Con la sua smania di tacitare la libera espressione di opinioni diverse dalla sua (astenetevi!), ha fornito anche a quelli che delle trivelle non gliene è mai importato nulla, un'ottima occasione per fargli un dispetto: “proprio perché mi dici di non andare a votare, io ci vado”.
D'altra parte, la prova che quasi a nessuno interessino le trivelle ma la posta in gioco che c'è sotto, ossia la figura che potranno farci Renzi, il governo e il Partito democratico (che guarda caso si è spaccato con la minoranza pronta in gran parte a presentarsi alle urne), sta nelle parole, davvero inconsuete per un ex presidente della Repubblica, pronunciate da Giorgio Napolitano.
Intervistato da Repubblica, ha detto che “l'astensione è un modo di esprimersi sull'inconsistenza dell'iniziativa referendaria”.
A parte il fatto che discutere di ambiente, energia e beni pubblici non è affatto una questione “inconsistente” (e non lo era nemmeno per Napolitano quando nel 2011 definì un “dovere morale” il voto sul referendum per l'acqua), anche Napolitano dimostra di avere più a cuore il destino del suo protetto Matteo Renzi che il diritto dei cittadini a esprimere la propria opinione attraverso il voto.
Un diritto che una volta rappresenta un “dovere morale”, un'altra un'eccezione praticabile solo quando le iniziative referendarie sono consistenti (secondo lui) e un'altra ancora (la prossima, quella del referendum sulla costituzione) come una responsabilità a non compromettere ciò che in realtà sta più a cuore a lui e ad altri come lui: la stabilità di questo governo.
L'unica e reale posta in gioco nascosta anche sotto i fondali marittimi perforati dalle trivelle.