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Trattativa Stato-Mafia: perché Calogero Mannino è stato assolto

Un'altra batosta per i pm di Palermo: l'ex ministro "non ha commesso il fatto"

Altra batosta per i pm di Palermo: oggi il giudice Marina Pitruzzella ha chiuso il processo-stralcio abbreviato sulla presunta trattativa tra Stato e mafia che aveva come unico imputato l'ex ministro Dc Calogero Mannino, accusato di minaccia a corpo politico dello Stato.

Gli altri imputati, ex ufficiali del Ros, politici e capi mafia, vengono invece processati con rito ordinario dalla Corte d'assise di Palermo.

Era stato l’ex ministro democristiano a chiedere il processo abbreviato.

L’assoluzione di Mannino, che la giudice Pitruzzella ha stabilito non aver commesso il fatto, arriva in realtà dopo ben 23 mesi di processo: secondo i pm (che avevano chiesto una condanna a 9 anni di reclusione) l’ex ministro, temendo per la sua incolumità, nel 1992 avrebbe fatto pressioni sui carabinieri del Ros perché avviassero un "dialogo" con i clan.

È dal 2006 che i pm palermitani conducono inchieste “matrioska” sui Ros dei carabinieri e sulla presunta trattativa tra boss mafiosi e uomini dello Stato.

I giudici finora non hanno mai creduto alle loro accuse.

La Procura ha inanellato una serie d’insuccessi: prima con l’assoluzione per il favoreggiamento mafioso per la mancata perquisizione del covo di Riina, a carico del prefetto Mario Mori e del capitano Sergio De Caprio, finita con un’assoluzione divenuta irrevocabile nel luglio 2006.

Poi è venuta l’assoluzione in primo grado per gli ex ufficiali dell’Arma, Mario Mori e Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento mafioso per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, nell’ottobre del 1999 a Mezzojuso (ora il processo è davanti alla corte d’Appello del capoluogo siciliano).

E proprio da quest’ultima inchiesta clone, è nato uno dei più grandi e controversi processi nella storia italiana (oltre un milione e mezzo di atti depositati nell’inchiesta), quella della presunta trattativa tra i capimafia e alcuni uomini di Stato, accusati di minaccia a un corpo politico dello Stato, per esser scesi a patti con Cosa nostra, in cambio di un alleggerimento del sistema carcerario duro (il cosiddetto 41 bis) durante la stagione delle bombe del 1992-93.

Sul banco degli imputati, i boss sanguinari Salvatore Riina, Antonio Cinà, Leoluca Bagarella, insieme agli ex ministri, Nicola Mancino ( accusato di falsa testimonianza ai pm) e Mannino, ai generali Mario Mori e Antonio Subranni, all’ex colonello dell’Arma Giuseppe De Donno, al senatore Marcello Dell’Utri e al superteste Massimo Ciancimino, che ha guai giudiziari in molti Palazzi di giustizia italiani.

“I processi penali non sono i luoghi più adatti a ricostruire la Storia. Si fanno con i fatti e per accertare precise condotte penali”. Così si è espresso l’avvocato Nino Caleca, uno dei legali, assieme a Marcello Montalbano dell'ex ministro Mannino.
“Andremo avanti, ci opporremo alla sentenza di assoluzione” ha commentando il pm Antonino Di Matteo, titolare dell’inchiesta.

Più caute invece le parole del procuratore capo Francesco Lo Voi: “Valuteremo se impugnare la sentenza dopo averne letto le motivazioni”. Segno di una presa di posizione più avveduta, e forse di qualche dissenso all’interno della stessa Procura.

Ansa/Lannino
Da sinistra i pm Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo lasciano il tribunale dopo la sentenza di assoluzione per l'ex ministro Dc Calogero Mannino
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Anna Germoni