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May 03 2017
Provocazione: e se i politici francesi non parlassero il politichese calibrato parola per parola dai loro strateghi, ma più semplicemente il francese della decadenza e del primato culturale che non c’è più?
E com’è cambiato, se è cambiato, il linguaggio di Marine le Pen, tra primo e secondo turno?
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Domande le cui risposte ci portano probabilmente lontano dalle ultime settimane di campagna elettorale e dalle sconfortanti analogie sintattiche tra Marine Le Pen e François Fillon smascherate in questi giorni sui social.
Il grado zero del linguaggio elettorale
Sconfortanti perché molti anni fa, quando la Francia era già la Francia e tutto il mondo guardava a Parigi per decidere cosa pensare e cosa leggere, un Roland Barthes esordiente metteva in guardia dal rischio “grado zero” del linguaggio: ossia l’uniformità.
Ecco una previsione azzeccata. Nel senso di anticipazione che coglie la cifra di un’epoca futura e ne disegna la fisionomia. All’opposto di molte previsioni attuali che si riducono alla mera tautologia, Barthes aveva colto il punto fondamentale: il conformismo della forma infetterà i contenuti.
Il problema della Francia attuale è certamente il suo primato perduto, e non solo in termini economici, ecco perché possiamo usare anglicismi per descrivere il tone of voice di Marine Le Pen, che tenta in queste ore di conquistare con parole chiave sia il voto della Francia repubblicana upper class, sia della base trotzkista di Mélenchon meno sofisticata ma altrettanto utile per tenere viva la speranza di entrare all’Eliseo.
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Il Presidente e il poeta
Il paragone con la statura culturale di un tempo rischia di essere impietoso. Nel 1969 alla domanda di un giornalista su un fatto di cronaca, il Presidente Georges Pompidou rispondeva citando, con naturalezza, una poesia di Paul Éluard. Il caso vuole che il fatto di cronaca in questione (l’amore tra una professoressa di francese e un suo giovane allievo) rimanga invariato nella sostanza, ma appunto non nella forma.
Vocabolario semplificato
Non ha molta importanza quindi se Marine Le Pen ricalca temi e vocabolario di Fillon, il problema è il vocabolario in sé. Non per nulla abbiamo portato l’esempio di un presidente gollista come Pompidou, espressione della destra classica, che fino a metà degli anni Settanta contribuì a fare della Francia l’approdo delle Lettere, la patria spirituale che accoglieva scrittori stranieri in esilio e nella stagione successiva consacrava agli onori della Bibliothèque de la Pléiade (e quindi all’Olimpo tout court) un moravo convinto di essere un boemo naturalizzato francese: Milan Kundera.
Oggi è la fama di Michel Houellebecq a confermare questa crisi: linguaggio e temi urticanti, simili a quelli che il Front National deve tralasciare sul più bello per guadagnar consenso in terreno inesplorato. Cioè nel salotto buono. Che forse non esiste più, o è un luogo ibrido. In Francia, almeno fino all’era Sarkozy, la cultura come prerogativa di status sociale aveva infatti mantenuto un prestigio capace di delineare profili collettivi e dettare l’agenda della classe dirigente.
Campagna social e faccia a faccia
Con Marine Le Pen – e in un certo senso col centrismo di Macron (il primo della classe ma di estrazione provinciale, non un Valéry Giscard d’Estaing cresciuto ai piani alti della capitale) – la campagna elettorale all’epoca dei social derubrica il linguaggio a puro veicolo pragmatico: è l’esempio quotidiano di Donald Trump dall’altra parte dell’Atlantico, per smentirsi, per cambiar parere, per capovolgere carte e tavolo da gioco.
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L’attuale politica francese segna la fine dei partiti classici di sinistra e di destra in favore dei partiti personali nella misura in cui l’individuo ancora più delle idee ha importanza ed è protagonista. Questa sera il dibattito tra due candidati in fondo prudenti (nei loro discorsi preferiscono leggere un copione piuttosto che andare a braccio), darà qualche indicazione in più in termini di spontaneità, non crediamo di contenuti. Sarebbe bello essere smentiti.
Il dio denaro
Forse l’espressione prediletta da Marine le Pen in questo finale di campagna elettorale è l’argent-roi, che potremmo tradurre con il “dio denaro”. C’è nello stilema l’astuzia di un concetto universale e prosaico al tempo stesso, perché il riferimento all’Euro, entità percepita come incombente sopra le teste dei francesi, è sibillino. È un concetto a lento rilascio, come una forza carsica pensata per minare le basi dell’approccio razionale di Macron all’Europa e ai suoi pilastri essenziali.
Alleanza patriottica e repubblicana
Per questo il termine “patriottico” precede quello “repubblicano” come atto finale della strategia presidenziale di Marine. Nella sua Alliance Patriote et Républicaine con Nicolas Dupont-Aignan – candidato alla carica di Primo Ministro – entrambi possono attribuirsi l’identificazione col primo termine e la sottomissione al secondo.
Ed è proprio in questo scarto linguistico, sublimato dalla ferrea legge egualitaria nata con l’Ottantanove “una testa, un voto”, che la destra classica misurerà infine Marine e ne decreterà il trionfo o la sconfitta.