L’Europa ha negato alla Grecia di prorogare per un’altra settimana il programma di aiuti che avrebbero permesso di fare arrivare il popolo greco più tranquillamente al referendum del 5 luglio. Significa che il cordone ombelicale finanziario che lega l’Europa ad Atene, quello che ha permesso a quest’ultima di sopravvivere a se stessa con conti pubblici insostenibili, terminerà martedì sera. E questo significa anche che il giorno più nero per Atene non sarà lunedì mattina ma mercoledì mattina quando le banche non avranno più euro da distribuire attraverso i bancomat.
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Dopo le trionfali dichiarazioni di solo una settimana fa del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, che aveva annunciato via Twitter la positiva “quasi-conclusione” delle trattative per la concessione di ulteriori aiuti, e dopo la diffusione, con tempismo sospetto, di un sondaggio in base al quale il 70% dei greci voleva restare nell’euro, l’Eurogruppo si è quindi sentito abbastanza forte da proporre alla Grecia nuove misure restrittive, con il pieno appoggio del Fondo Monetario Internazionale guidato dalla signora Lagarde: alfiera di un’austerità i cui effetti positivi sono contestati addirittura dal capo economista dello stesso Fmi Olivier Blanchard.
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Tra queste misure una delle più inaccettabili consisteva nell’aumento dell’Iva nelle isole greche, comprese quelle a bassissimo tenore di vita. Per dare l’idea di quanto anche solo questa misura avrebbe danneggiato il Paese basti pensare che è come se l’Italia decidesse di aumentare l’Iva selettivamente nelle Regioni del Mezzogiorno sperando che questo porti ad un aumento dell’attività economica e a una crescita del gettito fiscale. Tonnellate di studi economici dimostrano il contrario. Ma a Bruxelles o non li conoscono o la volontà di schiacciare l’economia già in disarmo di un Paese in crisi ha preso il sopravvento sulla ragionevolezza e il buon senso.