Jamiroquai, "Automaton" è un grande ritorno - Recensione
L'album è più elettronico e contemporaneo rispetto al sound a cui ci aveva abituato la band di Jason Kay
Il cappello con le corna, le scattanti movenze da breaker e l’inconfondibile voce “wonderiana” hanno reso Jay Kay, leader dei Jamiroquai, una delle figure più iconiche e riconoscibili della scena inglese degli ultimi 25 anni, oltre che tra le più amate dai tabloid per le sue bizze, per le sue numerose conquiste femminili e per la sua passione per Ferrari e Lamborghini.
All’inizio degli anni Novanta, mentre il grunge dominava la scena rock con gruppi come Nirvana, Soundgarden e Pearl Jam, in Inghilterra scoppiava il boom dell’acid jazz, felice incontro tra il calore del soul, l’energia del funky e il virtuosismo del jazz, in cui i fiati, il basso e la chitarra hanno un ruolo centrale. Una musica coinvolgente, ballabile ed emozionante, in grado di mettere d’accordo almeno due generazioni, soprattutto chi ha amato il funky degli anni Settanta.
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I gruppi più rappresentativi dell’epoca sono gli Incognito, i Brand New Heavies e i Jamiroquai (fusione tra i termini jam- e -iroquai, nome in inglese delle tribù native americane delle Sei Nazioni che vanno sotto il nome di Irochesi), anche se in molti pensano che quest’ultimo indichi un solista, il carismatico Jason Kay, e non una band, che negli anni ha cambiato diversi componenti.
Dal folgorante debutto con Emergency on Planet Heart del 1993 con una forte impronta ecologista, all’ultimo album Rock dust light star del 2010, più sperimentale e discontinuo, sono trascorsi diciassette anni, sette dischi, oltre 26 milioni di album venduti e un Grammy Award per il video di Virtual Insanity.
Una storia lunga e appassionante, quella del "cowboy dello spazio" proveniente "da un'altra galassia", che oggi si arricchisce dell’ottavo capitolo con l’uscita di Automaton, disponibile in cd, lp,digitale e streaming.
Una delle maggiori sfide per un artista è quella di evolversi stilisticamente, senza però scontentare troppo i fan della prima ora, catturati da un determinato tipo di sound. Le sonorità di Automaton sono più elettroniche e contemporanee rispetto al funky/disco al quale ci ha abituato negli ultimi anni, ma non è cambiato il feeling e il groove della sua musica, con uno stile electrofunk, debitore dei primi album di Afrika Bambaataa, Kraftwerk e Giorgio Moroder, che guarda decisamente al futuro.
Emblematico, nel video, il momento in cui Jason Kay, che indossa un futuristico casco luminoso con delle punte semoventi, ritrova il suo cappello del 2010 e lo guarda con stupore, quasi per affrancarsi dal suo passato analogico e dare una svolta radicale al suo sound.
Il primo singolo Automaton ha diviso in due i fan: chi (tra cui noi) ne è rimasto entusiasta, trovandolo che la cura ricostituente di sintetizzatori sia la naturale evoluzione del suo sound e chi si è lamentato per la mancanza di quegli elementi tipici che hanno permesso a Jason Kay e soci di vendere oltre 26 milioni di album: chitarra funky, un basso clamoroso, archi barocchi, cori black, e, soprattutto, tanto groove e “pancia”.
Tutti elementi che abbiamo ritrovato nel secondo, irresistibile singolo Cloud 9 (che in italiano potremmo tradurre "essere al settimo cielo"), nel cui video Jason Kay torna al suo amore per le auto d'epoca, guidando una splendida Ferrari Gto d'epoca,uno dei modelli più esclusivi tra quelli prodotto dalla casa del Cavallino. Altrettanto splendida è l'attrice Monica Cruz, sorella minore di Penelope, che balla con il cantante, sempre agilissimo nelle sue caratteristiche movenze, in un locale dalla soffuse luci rosa. (guarda il video in fondo all'articolo)
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Abbiamo ascoltato finalmente gli altri 10 brani di Automaton e l'impressione, vi anticipiamo subito, è molto positiva.
L'inizio è scoppiettante, con una cascata di synths alla Giorgio Moroder e una cassa dritta che introducono l'adrenalinica Shake it on, un brano che i fan dei Daft Punk ameranno immediatamente.
Superfresh, una frenetica cavalcata funky che farà sfaceli sulle piste da ballo, è un perfetto connubio tra le sonorità "classiche" di Jamiroquai e quelle più elettroniche di Automaton, con una concessione alla moda oggi imperante (vedi Kanye West e Drake) della voce filtrata dal vocoder.
La coinvolgente Hot Property, che sarà apprezzata dai fan più tradizionali della band, è un evidente omaggio alla disco music e, in particolare, agli Chic di Nile Rodgers, oltre che uno dei brani più interessanti dal punto di vista musicale.
Discorso simile per la dolce Something about you, ecellente prova vocale di Jason Kay, perfettamente a suo agio sopra un tappetto di archi barocchi e di cori vintage deliziosamente Seventies.
Summer girls è una canzone ricca di positività e di sentimento, che ci proietta con la fantasia in un viaggio a bordo di una macchina decappottabile, con il sole che ci accarezza il volto e la voglia di lasciare tutti i pensieri negativi alle spalle.
Voto molto altro per Nights out in the jungle, caratterizzata da un giro di basso di Paul Turner che non ha nulla da invidiare ad Another one biters the dust dei Queen, che stupisce per gli scratch e per i break tipicamente hip hop: saremmo pronti a scommettere che, prima o poi, la base verrà campionata da qualche rapper della vecchia scuola.
Dr Buzz è un brano più morbido e dal retrogusto malinconico, che ha un interessante sviluppo strumentale, soprattutto nei synths e nelle percussioni, fino a diventare via via più più coinvolgente con un bellissimo coro femminile e due assoli di sax e di chitarra.
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We can do it è una brano con un sound più scarno, costruito intorno un basso poderoso, che vanta dei bellissimi arrangiamenti vocali tipicamente anni Settanta e una linea melodica che entra immediatamente in testa. In essa Jason Kay canta con un'inflessione quasi reggae, già rivelata nel 1996 in Drifting along, mostrando di avere ancora oggi una totale padronanza del suo strumento vocale.
Impossibile restare fermi con le conclusive Vitamin e Carla(dedicata alla figlia maggiore di JK n.d.r.), canzoni che, se fossero sfrondate dai suoni elettronici del 2017, potrebbero esssere state incise nel 1977, confermando ancora una volta come i Jamiroquai siano campioni assoluti nel declinare il funky in tutte le sue sfaccettature, anche quelle meno prevedibili.
In conclusione, Automaton non è una rivoluzione, ma una riuscita evoluzione del caratteristico sound dei Jamiroquai, più evidente in brani come la title track, Superfresh e Shake it on, meno in altri, che però ci hanno stupito favorevolemente per un maggiore sviluppo strumentale, che conferma tutte le qualità della nuova band scelta da Jason Kay.
Una gioiosa macchina del funky, che si esibirà in Italia in due concerti, l'11 luglio all'Arena Visarno di Firenze, nell'ambito del Firenze Summer Festival, e il 20 novembre al Mediolanum Forum di Milano.