Addio a Paolo Villaggio, al ragionier Fantozzi e all'Italia del posto fisso
Attore irriverente, ha ritratto le miserie degli ultimi. Con una comicità grottesca e spietata. Che ha lasciato il segno. FOTO E VIDEO
Quanto ci ha fatto ridere! Mentre intanto si insinuava in noi il senso amaro di ridere di noi stessi e delle nostre debolezze.
Paolo Villaggio è morto a 84 anni, lasciandoci un'eredità comica "pazzesca", un bagaglio straripante di battute taglienti, personaggi grotteschi e vili, venature realistiche ed estremizzate dell'Italia degli ultimi. Di quelli che osano, in un impulso di ribellione, e poi nascondono entrambe le mani e lustrano le scarpe dei più forti, prostrandosi. Di "merdacce" come il ragionier Ugo Fantozzi e Giandomenica Fracchia, alla continua ricerca del riscatto e regolarmente umiliati. In primo luogo da se stessi.
Quella creatività ribollente e corrosiva
Genovese, caro amico di Fabrizio De André, Paolo Villaggio ha vissuto il debutto comico ufficiale negli anni Sessanta al teatrino di piazza Marsala, dove ha presentato il suo primo personaggio, il Professor Kranz. In questo prestigiatore aggressivo e sadico nei confronti del pubblico c'è già l'essenza dell'umorismo di Villaggio, cinico e irriverente, spietato e spiazzante.
Penna vivace, creativà ribollente, Villaggio a ruota faceva nascere personaggi che hanno fatto la cultura popolare italiana, Giandomenico Fracchia, prima, l'altro volto del sottomesso e umiliato, quindi Ugo Fantozzi, il ragioniere più sfortunato e abietto, "il più grande 'perditore' di tutti i tempi".
Villaggio li inventava e se li metteva addosso. Li animava e riempiva toltalmente, con una mimica inedita, piena e assoluta: la sua fisicità gommosa faceva tutt'uno con il personaggio. E dalla tv, dove è arrivata la consacrazione, il successo è esploso poi al cinema.
Il ritratto dell'italiano medio
Come aveva fatto Alberto Sordi prima di lui, Villaggio incarnava i vizi degli italiani. Ma con un'indole più feroce e meno bonaria. Rimanendo intanto Paolo Villaggio, comico cinico e scontroso, acuto osservatore delle nostre miserie.
Tramite Fantozzi, il suo personaggio più amato, Villaggio ha ritratto l'uomo medio, anzi, mediocre, l'archetipo dell'italiano anni '70, medio-borghese, impiegato dalla vita semplice, animato da fallimentari desideri di riscossa. Imbroglione che non riesce a imbrogliare. Idealista senza ideali. Intrappolato in un sistema di gerarchie, scrivanie, orari, frustrazioni. Un pullulare di fallimenti, di situazioni trucide e meschinità, di dolorosi "vorrei ma non posso".
Era l'Italia del posto fisso e del cartellino da timbrare. Un'Italia che non c'è più. Come lo stesso Villaggio notava in maniera sardonica nel 2012: "Fantozzi di allora era un miserabile felice, almeno lui aveva un posto fisso".
Intanto Villaggio riempiva il nostro immaginario di figure tragicomiche e "mostruose": l'agognata signorina Silvani, il miope e pedante ragionier geometra Filini, la Signora Pina moglie racchia e desolata, la bruttissima Mariangela dalle sembianze scimmiesche che spaventava, alla vista, lo stesso padre.
Una comicità pessimista piena di frasi cult
A Villaggio non interessava essere "buono" e rassicurante, neanche fuori dal set. Era quasi compiaciuto nel mostrarsi scorbutico e sprezzante. Come nell'intervista rilasciata nel 2013 a Panorama, quando con plumbeo realismo diceva "il mondo è fatto per la maggior parte da persone che nella vita hanno fallito. Grazie a Fantozzi ho fatto in modo che alcuni neppure si accorgessero di essere nullità. O al limite ho fatto sì che non si sentissero soli".
La sua comicità pessimista ci ha riempito di frasi cult. C'è un senso quasi liberatorio, che arriva anche a noi che scriviamo di cinema, nel giudizio di Fantozzi sul film proiettato al cineforum aziendale: "Per me... La corazzata Kotiomkin... è una cagata pazzesca!".
Si sente ancora l'eco di quel lamentevole "Come è umano lei", che racchiude tutta la penosa e vile accettazione dell'essere sopraffatto.
Paolo Villaggio e la morte
Quanto alla morte, nel 2005 Paolo Villaggio aveva detto: "Sono inviperito per questa tendenza che esiste soprattutto in Italia, forse per le sue radici cattoliche, di riconoscere i meriti degli artisti solo dopo la morte. Come se la morte nobilitasse".
In Fantozzi in Paradiso, nel 1993, l'ex ragionere, ormai anziano, affrontava con malinconia il tema angustioso della morte. Quando gli chiedono di pentirsi e di chiedere perdono, risponde: "Ma io mi pento solo... di non essermi goduto... la vita!".
Paolo Villaggio la sua vita se l'è goduta.