Trump presidente Usa: le 6 sfide di politica interna
Dalla questione dell'immigrazione dal Messico agli accordi di libero commercio con Pacifico e Ue: i temi che segneranno la politica Usa nei prossimi 4 anni
Le grandi questioni che hanno animato la più brutta e scorretta campagna elettorale della storia americana sono note. E non mancheranno di dividere l'opinione pubblica americana anche nei prossimi anni. Dalla polemica sulla necessità di porre un limite alla vendita delle armi leggere negli Stati Uniti (sancita dal secondo emendamento) alla questione del Muro per fermare l'immigrazione illegale dal Messico.
Dalle delocalizzazioni che hanno colpito duramente l'industria e la working class del nordest americano alla questione dell'allargamento della riforma sanitaria voluta da Obama che il nuovo presidente ha già promesso di abrogare, forte della maggioranza repubblicana al Congresso. Tutti temi su cui Trump ha giocato gran parte della sua campagna elettorale, promettendo una svolta radicale rispetto alla linea tradizionale democratica. Tutti temi su cui si gioca parte della tenuta politica e sociale del Paese nei prossimi 5 anni sulla quale sono più le incognite delle certezze.
E ancora: l'estensione dei diritti civili (si pensi solo alla storica sentenza Obergefell v. Hodges della Corte Suprema che ha di fatto spalancato le porte ai matrimoni gay in America), la necessità (avvertita da entrambi i candidati) di rivedere le grandi infrastrutture nazionali (dalla rete ferroviaria alle strade), la legalizzazione della cannabis ricreativa in alcuni Stati, il rapporto con le minoranze etniche, il fallimento della riforma di Wall Street su cui, dopo la crisi del 2008, si era personalmente speso lo stesso Obama e sulla quale lo stesso Trump ha manifestato idee paradossalmente simili a quelle di un candidato radicale come Sanders.
Ecco quali sono i 6 grandi temi di politica interna che il 45esimo presidente degli Usa dovrà affrontare.
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1) IL RAPPORTO CON LE MINORANZE
Quando si dice minoranze in America, si dice una cosa al contempo esatta ed inesatta. Esatta, perché i bianchi (i cosiddetti Wasp) costituiscono ancora oggi la maggioranza relativa e (anche se di poco) assoluta del Paese. Inesatta perché i bianchi americani di origine europea sono destinati a diventare nei prossimi anni - secondo il Census Bureau - minoranza numerica nel Paese. Un trend che, secondo gli addetti ai lavori, si approfondirà sempre di più a causa delle ondate migratorie e dei tassi riproduttivi più elevati tra neri, latinos e asiatici. Un trend che cambierà nel lungo periodo la cultura, la politica, le istituzioni, i partiti, il rapporto tra le comunità degli Stati Uniti. E che non mancherà di sucitare conflitti.
Si può dire che Trump ha vinto rivitalizzando, dopo gli otto anni di un presidente nero percepito come usurpatore, la voglia di revanche dei bianchi d'America, di quell'America profonda e antica che i sondaggi faticano a registrare. Uno scenario che rischia di scatenare nuove esplosioni e proteste a sfondo razziale.
Il problema dei cambiamenti della composizione etnica del Paese interroga, a livello politico, nel lungo periodo i repubblicani, ancora forti presso la middle class bianca tradizionale, ma in forte difficoltà nel rappresentare i cosiddetti nuovi americani. I democratici sono invece più capaci di intercettare il voto non-bianco. Il processo in atto porta con sé conflitti, problemi di integrazione, domande di nuovo welfare che confliggono spesso con la cultura anti tasse tradizionale della classe media e superiore americana, di cui Trump si è fatto interprete, in linea questa volta con la tradizione repubblicana americana.
Gestire questo processo - senza innalzare steccati invalicabili - è uno dei compiti che attendono il prossimo presidente Usa. Bianco, nero, asiatico o latino che sia. L'America, del resto, è sempre stato il Paese del melting pot. Riuscirà Trump a non far esplodere la bomba razziale in America?
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2) REGOLE ALLA VENDITA DELLE ARMI
Il diritto all'autodifesa del cittadino in armi è scritto nel secondo emendamento della Carta fondamentale. Fa parte, sin dalle origini, della cultura statunitense. Il diritto alla compravendita delle armi non è insomma una astruseria di un Presidente percepito come eccentrico come Trump, né (solo) una rivendicazione della potente lobby della National Rifle Association. Eppure l'America sta cambiando, e non solo perché negli ultimi otto anni c'è stato alla Casa Bianca un presidente sensibile al tema della regolamentazione.
Le stragi di massa compiute negli ultimi anni (Orlando, San Bernardino, Sandy Hook, Denver, Charleston...) hanno diviso l'opinione pubblica, con i democratici schierati per nuove e più restrittive regole alla vendita delle armi e i repubblicani (maggioranza al Congresso) agguerriti anche in parlamento nel difendere quello che percepiscono come un elemento costitutivo della cultura americana. Su questo tema è probabile che Trump, contrarissimo a qualsivoglia regolamentazione, provi a tornare indietro rispetto agli anni pre-Obama. Ma il problema si riproporrà a cadenza regolare, in concomitanza con nuove stragi: ancora oggi un americano su tre possiede un'arma da fuoco. Una percentuale ancora più forte tra i bianchi (41%), rispetto a ispanici (20%) e afroamericani (19%). In America, ha detto Obama, si uccide 297 volte in più che in Giappone, 49 volte in più che in Francia e 33 volte in più che in Israele. E nel Paese circolerebbero, legalmente o illegalmente, secondo gli uffici preposti, tra le 270 e le 310 mila armi leggere. Un numero impressionante.
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3) L'IMMIGRAZIONE ILLEGALE
È stato uno dei temi caldi della campagna elettorale. Mentre Trump ha proposto di costruire un muro lungo il confine (che, nelle sue intenzioni, pagherebbe il Messico) per fermare l'immigrazione clandestina, Hillary Clinton ha continuato a difendere un'idea inclusiva dell'America, Nazione fondata e cresciuta grazie al lavoro dei migranti.
Se The Donald ha detto "Saranno cacciati dal mio primo giorno in carica. Chiamateli pure deportati, se volete" i democratici hanno risposto con l'epic speech di Michelle Obama: "Non c'è un Noi e un Loro. Noi siamo loro. È sempre stato così nello spirito della grande Nazione americana". Due visioni del mondo contrapposte e inconciliabili che dividono - ancora più della questione della bomba H che Trump immagina per distruggere lo Stato islamico in Siria - le due Americhe. Il tema rischia di esplodere con la presidenza Trump, peggiorando lo stato delle relazioni con il Messico: attualmente ci sarebbero almeno dieci milioni di clandestini sul territorio americano. Obama, nel 2014, ne ha regolarizzato qualche milione. che cosa farà Trump? Darà seguito ai suoi propositi antimigranti che sì gli hanno messo le ali nella campagna elettorale, ma che rischiano di riaccendere il conflitto con la comunità latina.
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4) GLI ACCORDI DI LIBERO COMMERCIO
Dal TTP con i Paesi dell'area del Pacifico al negoziato sul TTIP con l'Europa, fino al NAFTA con il Messico siglato nel 1994 da Bill Clinton. È su questo tema che - in base alle promesse elettorali - ci saranno le novità più consistenti. L'idea di Trump è isolazionista, critica verso la globalizzazione: il nuovo presidente ha promesso di abrigare il TTP siglato nel 2015 e intende non ratificare l'accordo con l'Europa. Di più: ha promesso, rifiutando anche di sottostare ai vincoli del protocollo ambientaledi Kyoto, che l'industria americana che ha subito la crisi continuerà a rimanere in America, costi quel che costi.
In generale l'abbattimento delle barriere doganali porta con sé opportunità e problemi. Delocalizzazioni, con conseguenti perdite di posti di lavoro che preoccupano la working class del nordest industriale, ma anche nuove occasioni di crescita per l'industria americana. La visione dei democratici è globalista e internazionalista, favorevole a un lento, e inesorabile, abbattimento delle barriere. Quella di Trump è isolazionista, almeno a parole.
Coloro che hanno manifestato scetticismo - anche tra i sostenitori di Sanders - evidenziano un rischio già emerso nel dibattito in Europa: il fatto che i trattati di libero commercio portino con sé meno garanzie ai consumatori, meno tutele ai lavoratori e sostanzialmente meno sovranità. Inutile però dire che un'eventuale revisione dei trattati in essere potrebbe portare con sé un nuovo contraccolpo economico a livello globale. È il timore che nutrono in molti. E la corsa al bene rifugio dell'oro, già in atto dopo la vittoria di Trump, potrebbe continuare anche nei prossimi anni, con conseguenti su e giù borsistici che si riverseranno sull'economia reale, anche americana. Il tema - che poi è il tema dei rischi e delle chance della globalizzazione - è stato centrale in tutta la campagna elettorale. Come sulla questione del protocollo di Kyoto, che Trump ha detto di voler abrogare, anche gli accordi di libero commercio con gli altri Paesi dividono un'opinione pubblica spaventata e una classe media tradizionale che teme di essere risucchiata nella povertà.
5) DIRITTI CIVILI
Un altro tema che ha spaccato l'opinione pubblica americana è quello dei diritti civili. La parte più conservatrice del Paese - ex Tea Party in testa - ha attaccato frontalmente l'azione di Barack Obama tesa a estendere il diritto ai matrimoni gay in America, il diritto all'adozione per le coppie di fatto, l'aborto. È un tema che divide per definizione l'opinione pubblica. Quello che appare chiaro è che, in politica interna, l'azione di Obama - supportata dalla storica sentenza della Corte Suprema del 2015 che ha giudicato illegale il divieto dei matrimoni omosessuali in America - ha cambiato la cultura americana e l'agenda delle priorità. Su questo tema Trump, che è un uomo d'affari e non un politico, potrebbe rivelarsi meno oprtodosso dei suoi più accesi compagni di partito, schierati su posizioni ultraconservatrici.
Benché vi sia una parte consistente del Paese che continua a considerare come un affronto all'american way of life tutte le norme tese a estendere i diritti della persona, è difficile che un nuovo presidente e un nuovo Congresso possa un domani tornare indietro, sconfessando una sentenza della Suprema Corte.
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6) UN NUOVO WELFARE
La richiesta di un nuovo welfare universale - con un sistema sanitario e dell'istruzione pubblico e di qualità - hanno costitutito il cuore della campagna elettorale di Bernie Sanders, il candidato delle primarie democratiche che - non facendo mistero delle sue idee socialiste - è ruscito a dare del filo da torcere fino all'ultimo giorno a Hillary Clinton. Il successo di The Nice Guy - che è giunto a quasi vincere la nomination con un programma radicalmente di sinistra - è stato una delle più grosse novità della politica americana negli ultimi anni. Ha costretto Hillary a fare i conti con la domanda di un nuovo sistema di protezione dei cittadini americani di cui si è fatto portatore il suo sfidante del Vermont. Qualcosa sta cambiando nella cultura politica statunitense. La vittoria di Trump - con il suo programma di radicale taglio delle tasse - ne è la dimostrazione, paradossalmente: la risposta di un pezzo del Paese a questo cambiamento. Con nuove istanze che mettono in discussioni le vecchie narrazioni cui eravamo abituati, la stessa architettura dei due partiti tradizionali, le appartenenze consolidate dei militanti e degli eletti potrebbero finire per essere travolte, come dimostrato durante la campagna elettorale. Fare i conti con queste nuove domande è uno dei compiti che attende il nuovo presidente degli Stati Uniti.