Bcc: perché è naufragato il progetto del maxi-polo

Per l’allora ex premier Renzi doveva essere la Credit Agricole italiana. La riforma del Credito Cooperativo ha prodotto invece l’ennesima versione della lotta tra guelfi e ghibellini (o meglio, tra guelfi neri e bianchi) che divide da secoli l’Italia.

Non un maxi-polo, dunque, ma un duopolio Roma – Trento nel mezzo di una vera e propria "caccia all’azionista" tra le 317 Bcc a cui si abbeverano i piccoli imprenditori italiani, soprattutto artigiani e commercianti.

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L'idea originaria
L'obiettivo dell'ex Governo Renzi era il rafforzamento del sistema, creando una holding con un patrimonio di quasi 20 miliardi di euro, come accaduto in Olanda con Rabobank e Oltralpe, appunto, con Credit Agricole (che in Italia controlla Cariparma e di recente tramite Amundi ha comprato Pioneer, il gestore dei fondi di UniCredit), due grandi aggregazioni con differenti gradi di autonomia per le controllate.

Un'operazione di sistema, però, che non doveva (e non deve) avvenire a scapito di quella vocazione mutualistica e di sostegno al tessuto economico del territorio che hanno caratterizzato da sempre questi piccoli istituti.

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La soluzione "controllore-controllato"
Ecco perché l’uovo di Colombo è uno schema in cui la capogruppo, in forma di Spa e con un patrimonio minimo di 1 miliardo di euro, andrà a controllare attraverso un contratto le singole Bcc aderenti a un patto di coesione, che a loro volta in qualità di azionisti saranno le proprietarie della capogruppo.

Le controllate, in altre parole, controlleranno il controllore: alla holding, che passerà sotto il controllo della Bce (le singole Bcc resteranno sotto Bankitalia), spetterà l'ispezione, il coordinamento e, a seconda dei casi, il sostegno finanziario.

Una questione non da poco: delle oltre 300 Bcc esistenti nel 2016 (un numero destinato a ridursi, considerando le fusioni in questi mesi tra i singoli istituti), 60 hanno chiuso il bilancio in rosso.

Alcune sono un disastro sotto il profilo patrimoniale (nel 2014 una su dieci era oltre il livello di guardia).

La lotta tra Roma e Trento
Non solo Renzi, ma anche Federcasse, l’associazione di rappresentanza delle Bcc, scriveva, nel 2015 in una nota, che la riforma – andata in porto l'anno successivo – avrebbe dovuto portare a "un’unica realtà di dimensioni idonee ad attrarre capitali esterni, a investire consistentemente in innovazione e sviluppo, a prevenire e sostenere eventuali criticità".

Un appello rimasto inascoltato. I candidati a rivestire i ruoli di capogruppo sono sempre stati due: le due banche di secondo livello, quelle che forniscono servizi finanziari e non (informatica e di gestione) alle Bcc.

Sono Iccrea di Roma (forte di un patrimonio di 1,7 miliardi di euro) e l’omologa del Nord Est, la più piccola e combattiva Cassa Centrale Banca di Trento, che è riuscita però a superare il miliardo di euro, dopo l'aumento di capitale da oltre 600 milioni di euro a fine marzo.

La voglia di autonomia tra le Alpi
In nome di una maggiore autonomia, i trentini hanno sempre rimarcato la necessità di contare su più teste a capo della galassia del Credito Cooperativo.

Iccrea sebrava essere il soggetto ideale attorno cui aggregare tutte le Bcc italiane, ma alla fine Trento si è proposta come polo alternativo in grado di attrarre quelle banche che hanno tradizionalmente rapporti difficili con le Federazioni regionali, storicamente legate a Iccrea.

Chi sta con chi
Così, da inizio anno, ossia da quando Federcasse ha preso atto che l’idea di un'unica holding non era più fattibile, è scattata la gara per accaparrarsi il numero più alto di Bcc.

Cassa Centrale punta a 111 istituti-soci (per ora ne ha convinti 106); tutte le altre Bcc dovrebbero andare sotto il cappello di Iccrea, che spera in ben 226 azionisti, anche se a febbraio aveva ricevuto 155 pre-adesioni.

Per le indecise c'è ancora tempo: al di là delle preferenze espresse, le singole Bcc decideranno nelle assemblee straordinarie, in cui si mettono ai voti le modifiche statutarie e l'indicazione definitiva della capogruppo.

Il caso ChiantiBanca
Come è successo in Toscana nei giorni scorsi, dove la lista del presidente di ChiantiBanca, il super banchiere ed ex membro del board della Bce Lorenzo Bini Smaghi (che preferiva Cassa centrale del Trentino), è stata sconfitta dalla lista avversaria, che voleva restare con Iccrea. Staremo a vedere.

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